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Quattro puttane terrestri
Nelle cattedrali della mia letteratura,
Scenario mentale obliato, quindi sogno,
Stanno due puttane babilonesi.
Imprimendo contro il buio angosciato
Impronte millenarie di due aspidi gemelle,
stanno, saffiche ed invincibili,
Come sul frontone lavico di un tempio matriarca.
Regno di carni e sensazioni,
Fertile come il più spirituale dei bordelli
Per le sue luci trasudanti da veli,
Olezzi d'amore macilento
In tutte le forme e fantasie
Dei legami chimici e
Delle passioni sfrenate
Che macerano sotto il frassino
Universale ed eterno Yggdrasill
Tiene quest'albero il globo a pendolo
Sostenendolo con rami striscianti verso l'alto
A strappare le viscere del Dio
A cui si stringe e che trascina
Nel cammino verso limiti increati
A cui tende come ad infinito
In un'implosione radiale ed eterna
Che non ha nome di volontà
Generando strutture molecolari
E concetti istantanei e secolari
Per questi uomini i cui secoli di storia
Sembrano ere geologiche ed interminabili
Condanne, guarnite da rivoluzioni
Come bare da corone floreali.
Al centro del fulcro linfatico
Del grande e marmoreo Frassino-Tempio,
A cui stanno a maturare i nostri saperi
Come indiziati già impiccati dal tempo,
Mi è parso di ri-trovarmi affamato di sapere,
Straziato da morsi interni come se Fenriz stesso
Partisse coi denti le viscere e la luna che ho in petto.
Per sfamare la fiera mi avvento al centro dell'universo,
Cercando l'intelletto in forma di nutrimento.
Per suggerne il nettare radicale di questo,
(Pozzo centro e vacante carne umana)
La mia testa affonda tra la cosce
Di due puttane brune ed intense come l'orzo
Il colore terreno di radici chilometriche
Flessibili come un virgulto ficus.
La sinuosità rettile s'avvinghia contro il viso
Spremendone miele e mugolii.
Alle molli fortezze m'abbocco disordinato
Per divorare e bere dalla fiera negrezza
Il senso della creatibilità d'ogni cosa
Accertando la morte d'ogni dogma,
Nel perforare con la lingua il centro dell'universo
Lacerandone la potente inespugnabilità.
Gorgogliando sommessamente
Il mio piacere anestetico
Contro l'odore del membro femmineo
Divenendo nell'opacità oppiacea
Un me essendo, tra tutti i possibili,
Senza presunzione dell’identità.
Una e l’altra come una e la sua ombra bianca
Quando viene il sole l'albero pregno svanisce
Sorgendo il capo sudato dal cratere scavato nel cuscino,
Quasi venisse a cacciarsi fuori da un ventre,
Turbato dalla voracità dell'insoddisfazione,
Me ne torno a risconquassarmi nei sogni.
Nella fuga da un fastidioso giorno
Nuovamente una coppia di regine
Vince al banco dei tarocchi.
Entrambe acute e metalliche,
Spettrale carne dai riflessi argentei una,
L'altra nel rame sbalzata e di rame viva.
Le teste docilissime e chimeriche:
Una, legata in coda ippica come spiga di grano
Applicata alla curva accennata di un prodigioso cranio
La pelle levigata dalla carezze e tesa fino a sfinirsi,
I seni di una dea che debba cibarne eroi, stanno
In simmetria con ginocchia piegate, le gambe schiuse,
Come dovesse accogliere eroici membri
Esausta, ma perpetuamente vincolata all’ospitalità,
Nel luogo dove lingua sanguigna balzava i vermigli lembi.
L'altra, matrice di scintille rosse e riflessi
Che la circondano come capitello fluente
Flessuose spirali di materia ardente
Fino ad i fianchi larghi e potenti di donna,
I seni accennati e occhieggianti dai capezzoli
Come monete di rame brunito, lucidi e dolcissimi.
Su un fianco posata, sembrando disarme,
Ha in verità, con la sua disarmante bellezza,
Sconfitto l’amica, marcata dalle labbra.
S’infossano sui petti, come tronchi gemelli,
Le teste docilissime e chimeriche,
Accogliendo il peso che li modifica.
Gli arti lignei e morbidissimi
Si sono curvati per stringersi
Abbandonandosi intorpiditi.
Un tallone mitologico e superbo
Un gomito come levigato nodo d’ulivo
Un pollice al labbro accostato
Come radica che s’appressa a polla
Richiamata dall’alito benefico di umori,
Di carni pregne e nude di piacere
Museo palpitante di inermi bellezze
Dove gli occhi miei, visitatori esaltati,
Scorrono le magnifiche aule come ubriachi,
Riscoprono, con occhio originario,
Il salotto della propria casa natale.
Ninfe: albina una e l'altra sorellastra vulcanica
Nate nel sottobosco del mio inconscio
Sprigionano un clima mite nel loro riposo
Confondendo il mio sonno nel loro
Il mio piacere nel loro
Venute senza parole a prostrarsi sguaiate
Per il gioco della dannazione e dell'angoscia
Nella mia navicella in viaggio stellare
Visitando i bordelli di altri sistemi, ridendo,
Cercando l'unico Dio nell'iperbole delle sfrenatezze.
Ecco, farsi spazio nel centro di un letto
Minuscoli notturni nel andare dei versi.
Dove non si parla di freni, ne' di pesi,
ma di linguaggi e trasmutazione dei sensi,
grazie alle quattro puttane terrestri!
In UNO Extreme! compare uno smazzatore automatico a pile che sostituisce il mazzo pesca. All'atto di pescare quindi il giocatore attiva lo smazzatore, il quale può rilasciare un numero casuale di carte che va da 0 a 8.