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Ok, ora un commento sui giochi pervenuti.
Ricordami, di Nero79. In breve, a inizio partita un narratore legge le storie di alcune vittime dei lager, e assegna un profilo di questi a ogni giocatore (i profili passeranno di giocatore in giocatore nel corso della partita). Successivamente i giocatori vengono interrogati riguardo alcuni dettagli delle loro storie, e fanno punti rispondendo correttamente. Un gioco di memoria e story telling, meccaniche azzeccate per il tema, ma che assieme danno vita a quello che sembra più che altro un gioco a quiz senza troppo mordente. Potrebbe comunque essere ok da proporre in un biennio delle superiori.
SS vs oppositori, di Xtremegame. Un dexterity per due giocatori. L'oppositore al regime cerca di prendere e mettere in salvo dei meeple, mentre l'SS li porterà del campo di concentramento e cercherà di bacchettare le mani dell'oppositore per impedire che rubi le pedine. L'idea del gioco di destrezza è molto ardita, così come il fatto che qualcuno faccia le SS (credo l'unico tra i partecipanti che ha messo un giocatore nei panni dei 'cattivi'). Ma il rischio più grosso è che il gioco possa far ridere, e questo 'derubricherebbe' eccessivamente il tema del gioco. Per me è no.
Binario 21, di Niin. Ogni giocatore guida un gruppo di prigionieri nella fuga da un treno diretto a un campo di sterminio. Il gioco è il più semplice tra quelli proposti, trattandosi di piazzare tessere 'percorso' e spostare la propria pedine su queste tessere fino all'uscita. Non troppo originale e non troppo ambientato, si poteva fare di più in entrambi i campi.
Soluzione finale, di Confucio. Un worker placement collaborativo. I giocatori controllano delle baracche all'interno di un lager, e ogni turno devono assegnare i propri prigionieri a dei lavori obbligatori e possono assegnare quelli rimasti inattivi (se esistono) a dei compiti 'positivi' (rubare cibo, nascondere diari, …), cercando di limitare fame, fatica e pazzia. Questa è la prima delle proposte che inizia a 'giocare' con l'idea dell'obbligo e della frustrazione, e la trovo estremamente interessante, anche come meccaniche (anche se naturalmente un po' embrionali). Entra anche l'elemento cooperativo, che mi pare quasi essenziale in un tema come questo. Il rischio da cui guardarsi è che non lo si giochi come un puro gioco di gestione e ottimizzazione, ma che emerga sempre l'elemento di privazione, ansia e follia.
Prima vennero…, di Salkaner. Basato sulla poesia di Brecht (quella che termina con “perché non c'era rimasto più nessuno a protestare”), è a metà tra un gioco e un esperimento sociale. Ogni giocatore riceve una nazionalità e un motivo di persecuzione, e ogni turno deve cercare di sfuggire a un rastrellamento, con la possibilità di aiutare gli altri giocatori o al contrario di denunciarli o di affiliarsi al regime. L'idea è molto carina, e la possibilità di immedesimarsi in una vittima e reagire diversamente alle persecuzioni potrebbe in effetti portare a una riflessione post-partita interessante (come suggeriscono le stesse regole). Una sorta di prova sul campo di quella 'zona grigia' raccontata benissima da Primo Levi ne “I sommersi e i salvati”.
Ricordati di me, di Maestrozappa. Il gioco mette l'accento sul ricordo delle vittime, rappresentate da carte su cui si pongono dei segnalini 'ricordo' che vengono poco alla volta eliminati da eventi del gioco. I giocatori, in collaborazione, dovrebbero reagire a questa 'erosione' con azioni (non molto definite, a dire il vero) che contribuiscono a tenere vivo il ricordo: oggetti, racconti, ecc. L'idea alla base è interessante, ma rimane una 'suggestione' non abbastanza elaborata per capire il gioco che potrebbe venirne fuori. Anche se potrebbe uscirne qualcosa di buono.
Viaggio senza ritorno, di Plautus. Un gioco di carte semplice, in cui si deve rispondere a chiamate di un 'seme' giocando una carta deportato che abbia quella caratteristica (es. uno chiama “le donne” e ognuno deve giocare un prigioniero donna). Le carte vengono ordinate secondo il loro numero, con quelle con il numero inferiore (o senza la caratteristica chiamata) che riescono a fuggire. Il gioco è quello più completo nella sua stesura, e non ho molti dubbi sul fatto che potrebbe funzionare, meccanicamente. Forse fin troppo 'meccanicamente'. Il rischio è di trovarsi a giocarlo come se fosse un ciapanò e di ignorare quasi completamente l'ambientazione, cosa che in questo caso reputo un elemento negativo.
Leben, di Folkwine. Un gioco volutamente frustrante, che si riduce a poco di più (volutamente) al girare una dopo l'altra alcune carte evento e applicare il loro effetto (normalmente negativo e privativo: si perdono carte che rappresentano valori, libertà o salute che ogni giocatore a inizio partita riceve). Il gioco è volutamente molto semplice e automatico, per simulare l'esperienza di un regime autoritario e 'liberticida', e lo ritengo ben riuscito in questo scopo. Forse c'era spazio comunque per inserire qualcosa di più a livello di meccaniche per porre l'accento anche sulle scelte (anche se non ancora sulle 'libertà') personali, a simulare un 'lato oscuro' che potrebbe albergare latente in ognuno di noi.
COMMENTI GENERALI
Come dicevo, sono rimasto molto colpito dalla partecipazione a questo cimento difficilissimo, e a come ognuno ha interpretato in maniera molto differente il tema nel proprio gioco, ponendo l'accento su aspetti diversi (frustrazione, obbligo, sopravvivenza). Nessuno di questi giochi potrà mai essere un gioco originalissimo, o con una grande rigiocabilità, e soprattutto mi auguro che nessuno di questi sia mai un gioco 'divertente', cioè che sia in grado di suscitare ilarità.
Mi hanno colpito in particolare i giochi di Confucio, di Salkaner e di Folkwine, che meritano una menzione di merito. Ma bravi a tutti.