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Ritornando alla metafora musicale, mi sembra che la similitudine fra majors discografiche e i produttori (o meglio i distributori) abbia altri punti in comune.
Ad esempio l’appiattimento generale della produzione discografica, sempre a caccia del motivetto facile e dal successo immediato, privilegia un certo tipo di artista e di conseguenza di musica prodotta, abbassandone il livello generale. Questo certamente non impedisce di trovare degli artisti veri e non dei fotomodelli che cantano in playback. Per ogni grande casa ci sono decine di case discografiche indipendenti che sperimentano, rischiando relativamente poco. Tra di esse un gruppo dotato ma sconosciuto puo’ riuscire a farcela.
Per i giochi, oggi la produzione e’ talmente rischiosa e i numeri talmente piccoli che conviene ripiegare su prodotti magari non originali ma sicuramente vendibili, almeno per le grandi case editrici che hanno centinaia di negozianti da rifornire e decine di persone da stipendiare ogni mese. Anche in questo settore c’e’ chi rischia di suo. Grazie a mercati forti come quello tedesco anche un editore da 1000 – 2000 copie per uno – due giochi all’anno puo’ sopravvivere sperando nel successo che lo rendera’ famoso (non ho detto ricco).
Walter Obert