Era un mercoledì qualunque. Stavo addentando un panino che sognavo circa dalle 10.19, ora in cui il mio stomaco generalmente prende atto che la seconda colazione è ormai finita e dobbiamo tirare fino a pranzo.
Seduta al tavolino del mio bar preferito, sfogliavo le pagine del libro “Da cosa nasce cosa”, splendida opera di Bruno Munari edita nel 1981 (non esattamente l’altro ieri). In questo libro Munari affronta con una leggerezza impareggiabile il grande tema della progettualità, dote che pare essere (ben) nascosta dentro ognuno di noi. Solo attraverso un processo metodologico chiaro e ben definito, il nostro estro creativo sarà in grado di trovare la strada giusta verso la progettualità, di qualsiasi natura essa sia.
Ok – penso – vediamo cosa riesco a tirarne fuori per l’approccio al game design.
Quinto ed ultimo appuntamento su questo lungo articolo a puntate sull’Autoproduzione. Chiudiamo con alcune RIFLESSIONI SPARSE, che sono assolutamente personali, in risposta alle domande che mi avete fatto. Quindi valgono tantissimo, o pochissimo, contemporaneamente.
Però bisogna che leggiate, bene, tutto quello che c’è stato prima, nell’ordine giusto
(Prima parte) (Seconda parte) (Terza parte) (Quarta parte)
Eccoci qua, dopo aver toccato tanti temi “preliminari” a questa pazza avventura che è l’Autoproduzione, chiudiamo con la nozione CHIAVE (l’abbiamo già definita così, in maiuscolo) del successo di ogni Autoproduzione.
Rileggete tutto d’un fiato quello che si è scritto finora, ed enjoy questo (lungo) finale.
(Prima parte) (Seconda parte) (Terza parte)
Terza puntata (ci sto prendendo gusto) sull’Autoproduzione.
E meglio leggerle in ordine: prima ci siamo chiesti “chi sono io” e “perché lo faccio” poi “quanto siamo disposti a perderci” e siamo andati un po’ più sul pratico con “il piano produttivo”, che deve ragionare in “termini professionali” anche se si tratta di una piccola autoproduzione.
Ripartiamo con il Piano di Rientro ed il concetto del Successo! E poi nel prossimo articolo arriveremo al concetto CHIAVE di Distribuzione.
Seconda puntata di questo (lungo ma non luinghissimo, dai) articolo sull’Autoproduzione
Nella prima ci siamo chiesti “chi sono io” e “perché lo faccio”, che sono alla base, a parere di chi scrive, di ogni Autoproduzione.
La bussola in questo viaggio dall’esito non scontato, e dal naufragio facile.
Leggete qua, se ve lo siete persi, e buon proseguimento
Scrivo qualche riga (grazie per l’opportunità) su un argomento tabù per alcuni, che suscita resistenza e addirittura emozioni negative per altri: l’autoproduzione. Autoproduzione di giochi da tavolo, naturalmente.
Da dove vengo (il teatro, in gran parte di strada), autoprodursi uno spettacolo è la normalità. Nel mondo della musica essere “indie” fa addirittura figo. Perché nella comunità di Idg l’autoproduzione viene vista come “il male”?
Ok ok, resto sul topic e non mi infilo in discorsi antropologici, era solo per rompere il ghiaccio.
Adesso si parte. Per capitoli, così è più facile (più facile per me da scrivere, intendo).
Le considerazioni che vorrei condividere sono tante, partiamo con le prime. Svilupperemo le altre in una seconda e terza pubblicazione.
Questo post è stato scritto da Carlo A. Rossi nel gruppo Facebook “Giochi da tavolo e di società per bambini”. Lo riportiamo sul nostro sito per tenere traccia di questa interessante valutazione. Qui il link alla discussione originale a cui sono seguite interessanti riflessioni.
Dunque dunque, questo post nasce da quello recente sui giochi Tiger in cui, parlando di plagi si è arrivati a Dobble, che è reputato essere dai più un plagio di Kunterbunt (di Reinhard Staupe); cosa su cui non concordo. Sollecitato da Roberta e tanti altri esplicito qui le mie considerazioni.