Rispondi a: Il caso

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#16919
Izraphael
Partecipante

Allora, secondo me ci sono diversi tipi di “caso”… nel senso che ci sono diverse tipologie di “elementi casuali” che possono essere inseriti in un gioco, e molti modi per ridurne la pesantezza senza eliminarli del tutto (come direbbe Mario Sacchi, “un tiro di dado ci sta sempre bene”).

Direi che la “caratteristica” principale del Caso che interessa un autore sia la “non prevedibilità” dell'elemento casuale.
Da una parte ci sono le scelte che portano a conseguenze “determinate” (muovo un cavallo, mangio un alfiere), dall'altro il caso assoluto (tiro due dadi e mi muovo).
In mezzo c'è tutto il resto… da come ci si mette a sedere intorno al tavolo, a chi inizia, ai tiri di dado, alla pesca di tessere e carte, alle scelte dei giocatori che possono essere più o meno volontariamente casuali.

Credo che di parlare di dadi, carte, probabilità e sistemi di imbrigliamento del caso… non sia il caso. Le variabili sono tantissime, le regole e le idee per gestire, manipolare e modificare il caso che agisce su un sistema finito (come un pool di dadi o un mazzo di carte) sono anche di più… mi limito a dire che secondo me ci sono elementi fisici che introducono naturalmente casualità, elementi si presuppone voluti dall'autore e la cui funzione dovrebbe essere quella di dare qualche brivido, di costringere a rischiare, etc etc. e che questo tipo di caso generalmente è divertente – soprattutto se gestito bene – e spesso e volentieri dà frizzantezza e brio a giochi magari un po' ingessati.

Personalmente, invece, il Caso che mi disturba è quello “non fisico”, indotto da meccaniche farraginose, semplicistiche o più banalmente da un'idea che magari sembra buona ma non funziona.
Per esempio quando un giocatore si trova a dover scegliere fra più azioni che hanno tutte una ricaduta più o meno uguale in termini di vantaggi.
Tanto per incominciare può darsi che giochi a caso. Una vale l'altra. Tira mentalmente una moneta per decidere ed effettua l'azione.
Ancora peggio: e se il suo avversario venisse chiamato a effettuare delle azioni segrete “in risposta” a quella mossa, o semplicemente a pianificare qualcosa in base a quello che potrebbe fare l'avversario?
Sicuramente percepirebbe l'alea “nascosta” nelle regole che invece, per assurdo, non prevedono neanche un tiro di dado.

La “casualità indotta dalle regole” (termine mio) è una brutta bestia: difficile da spiegare, difficile da vedere se non con dei buoni playtest (e playtester!), difficile da “sbilanciare” senza toccare le regole.

Per fare l'esempio del bluff (e per bluff intendo “un modo di procedere tale da far credere agli avversari di avere intenzioni e/o possibilità differenti da quelle effettive”): il bluff è divertente quando c'è un giusto mix fra informazioni che si possono ottenere (che permettono o facilitano lo smascheramento del bluff, gratificando il “chi lo subisce”) e informazioni che si possono celare più o meno volontariamente (che danno al bluff la possibilità di funzionare, gratificando “chi lo fa”).
Se si sbilancia troppo questo equilibrio, uno dei due giocatori agirà a caso, trasformando quella che doveva essere una meccanica di bluff in un “finto bluff” che è di fatto un elemento casuale nel gioco.

Ok, sto scrivendo troppo. Vi lascio la parola…

Marco Valtriani
Red Glove Edizioni & Distribuzioni
Lead Designer
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Board Game Designers Italia